Raramente nella storia della moda si osserva uno stacco così netto tra due decadi. L’aspetto un po’ fanciullesco a la sportività degli anni ’20 lasciano il posto ad un’eleganza più femminile, tradizionale. Le forme spesso spigolose si trasformano in linee più morbide, più femminili, i capelli corti e lisci diventano leggermente ondulati e si allungano abbastanza da poter essere raccolti. L’intera silhouette cambia, diventa meno severa. Negli anni ’30, inoltre, si consolidò una tendenza che aveva preso piede già negli anni ’20, cioè: la stilista donna, che subito ha dimostrato una certa sicurezza nel lanciare idee innovative. Lanciare l’abito in sbieco.
Il nostro abito stile anni ’30 è una piccola dedica ad una di loro: Madelein Vionnet, una stilista dell’epoca riconosciuta unanimamente “regina dei couturiers”. Fu lei ad elaborare e proporre il taglio in sbieco, che oltre a ben adattarsi al corpo femminile, ne esalta le forme. L’abito da noi proposto è asimmetrico, monospalla, in georgette rosa cipria tagliato in sbieco e arricchito da un drappeggio in vita e da balze sovrapposte. Oltre ad essere un abito da sposa non convenzionale può essere ideale anche per altre occasioni.
La parola d’ordine per Vionnet era morbidezza. Per ottenere i suoi obbiettivi stilistici, la couturier utilizzava principalmente il drappeggio e due tecniche innovative: il moulage e il taglio in sbieco.
Taglio in sbieco
Lo sbieco è una direzione del tessuto, ovvero a 45° rispetto ai fili di trama e ordito. Sostanzialmente e la direzione della diagonale del pezzo di stoffa. Lo sbieco è l’unico punto del tessuto in cui esso si può deformare in quanto in questo punto ha un potenziale elastico molto elevato. E’ proprio per questo motivo che gli abiti vengono generalmente tagliati in dritto filo, cioè nel senso dell’ordito, o in quello della trama perché sono le direzioni in cui il tessuto è più rigido e statico. Il taglio in sbieco è una tecnica di modellismo e di taglio che agevola molto il sarto, perché da la possibilità di rendere il tessuto più malleabile.
“ Mi sono impegnata , come per la donna, a liberare il tessuto dalle costrizioni che gli venivano imposte. Entrambi mi sembravano vittime calunniate. Ho provato che una stoffa che cade liberamente su un corpo è lo spettacolo armonioso per eccellenza. Ho cercato di dare al tessuto un equilibrio tale che il movimento non sposti la linea, ma la magnifichi ancora di più”
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